Sottotitolo: dimmi che cartello hai in azienda e ti dirò chi sei…
All’inizio del 1997, non avevo ancora 28 anni, per gravi motivi familiari dovetti lasciare da un giorno all’altro un’importante esperienza in una multinazionale americana nel mondo del network marketing. Così mi trovai di colpo a smettere di viaggiare in Italia e all’estero e a dover cercare qualche nuova opportunità a livello più locale. Ebbi qualche rapida collaborazione con un paio di imprese che si occupavano di vendita di siti web e di editoria, ma il loro approccio old style mi faceva sentire come un pesce fuor d’acqua e di essere tornato indietro di 50 anni.
A luglio dello stesso anno, su suggerimento di mio padre, mi presentai alla Telcen srl, una piccola realtà aziendale di Viareggio che all’epoca vendeva e installava impianti telefonici, cablaggi, software di documentazione telefonica e aveva anche un paio di negozi di telefonia (la vecchia Omnitel).
Quando feci il colloquio con Stefano Luisotti, colui che poi sarebbe diventato uno dei miei maestri di business, e una delle prime cose che notai era che in ogni locale dell’azienda c’era appeso un quadretto con la stampa de “Il Decalogo della Qualità“.
Dieci punti che poi erano cinque ripetuti due volte, come a voler rafforzare i concetti espressi (repetita iuvant).
La cosa mi piacque subito anche perchè percepii un approccio da grande azienda seppur all’epoca l’azienda era ancora una piccola realtà locale.
Cinque concetti, cinque principi che, grazie anche all’esperienza precedente, non feci fatica a fare subito miei. Con il passare del tempo quei principi mi sono entrati nelle vene, hanno pervaso ogni mia singola cellula fino a diventare parte integrante del mio DNA professionale e naturalmente in seguito ho trasmesso a tutti i miei collaboratori, venditori e partner.
I primi due punti del decalogo, e non a caso erano i primi due, recitavano:
- Il Cliente è il nostro vero datore di lavoro.
- L’unica Qualità accettabile è quella percepita dal Cliente.
Il Cliente è il tuo VERO e UNICO datore di lavoro!
Avete mai visto un’azienda o un’attività prosperare senza Clienti?
Eppure ci sono ancora oggi così tanti “imprenditori anti-clienti” che non capiscono questo elementare concetto e trattano i loro Clienti (potenziali e attivi), cioè “i veri datori di lavoro”, con sufficienza, distacco e spesso con noia.
Quante volte ci siamo sentiti a disagio entrando in un’attività commerciale perchè non riceviamo nemmeno un “buongiorno”?
Quante volte chiamando un’azienda per avere informazioni commerciali, quindi potenziali nuovi acquirenti, ci sentiamo rispondere con sufficienza, quasi si desse fastidio ad aver chiamato?
Se non ami il tuo Cliente è giusto che tu scompaia dalla faccia dell’imprenditoria.
Queste imprese devono chiudere e, senza pietà, chiuderanno. E’ solo questione di tempo. Anzi esorto chi ci lavora a iniziare a cercarsi altre opportunità e magari in azienda più orientate al Cliente, perchè solo quelle avranno buone probabilità di avere ancora un futuro.
La cultura aziendale FA LA DIFFERENZA e deve partire da chi GUIDA l’impresa.
Cosa hanno dentro la testa questi pseudo imprenditori “anti cliente”? Forse tanta polvere mischiata all’arroganza e alla presunzione di non aver bisogno di nessuno, unita ad una scarsa intelligenza professionale e con un bassissimo, se non a zero, buon senso.
Insomma tanta ignoranza, intesa come colpevole inconsapevolezza e incompetenza che li condurrà verso il baratro. E non sarà una questione di tasse troppo alte, burocrazia asfissiante e concorrenza sleale a farli chiudere, ma solo e soltanto la loro ignoranza.
La consapevolezza che il Cliente è il tuo vero datore di lavoro ti spinge a perseguire l’obiettivo di garantire nel tempo la sua piena soddisfazione.
Tornando alla Telcen, invece, l’attenzione al Cliente e a ogni particolare che lo vedeva coinvolto (dalla scelta dei prodotti, all’offerta da presentare, alla fattura da inviare, alla risposta da dare al telefono, al servizio di assistenza, ecc.) era veramente di grande livello.
Un’attenzione, un approccio che era diventata cultura aziendale. Quella cultura differenziante che, rispetto alla stragrande maggioranza delle imprese di allora, ha permesso a quella piccola azienda di prosperare nel mercato delle telecomunicazioni nelle province di Lucca, Massa e Pisa, nonostante la concorrenza spietata del colosso (e all’epoca ancora monopolista) Telecom Italia che si presentava sempre con prezzi più bassi in media del 20-30%.
A distanza di oltre 20 anni, questa consapevolezza è ancora molto difficile trovarla nella stragrande maggioranza delle aziende, soprattutto nelle micro e piccole imprese. E ovvio che è “solo” una questione di cultura aziendale e in queste realtà vuol dire essenzialmente cultura dell’imprenditore. Ma non c’è via di fuga, o si evolvono e sviluppano una nuova cultura, oppure, lo ripeto ancora, la fine è certa.
Cosa è la cultura aziendale?
Tanto per dare una rinfrescata, la cultuta aziendale è un insieme di tutte le regole scritte e non che, ispirate dai Valori di riferimento, determinano i comportamenti delle persone che compongono l’azienda (la cosiddetta organizzazione), le loro attitudini nel gestire le attività quotidiane e le situazioni straordinarie.
Ovviamente non basta scopiazzare qualche regola scritta da qualche azienda per dire di avere una cultura aziendale orientata al Cliente. La cultura aziendale deve nascere da un processo interno all’azienda dove le persone, in primis chi la guida, iniziano pazientemente a riflettere su quali sono i Valori che guidano l’impresa, perché sono sul mercato, cosa vogliono costruire e come vogliono starci.
Quel decalogo non era lì per fare arredamento, ma rappresentava la sintesi del pensiero dell’azienda, che poi si trasformava in un approccio al mercato e quindi in azioni verso i Clienti.
Ovviamente tutto partì dalle teste dei due proprietari, i fratelli Giovanni e Stefano Luisotti, che con l’esempio e le scelte che attuavano in azienda, hanno saputo creare una cultura aziendale, condividerla e diffonderla (processo top-down) a tutto il personale.
Risultato? Da una micro realtà locale, hanno costruito un gruppo aziendale da oltre 60 milioni di euro (e mi onoro di aver dato un importante contributo a questo risultato).
L’unica qualità accettabile è quella percepita dal tuo Cliente.
E’ inutile e stupido riempirsi la bocca parlando della propria azienda di quanto stia attenta alla qualità, di quanta professionalità ed esperienza possa vantare se poi i Clienti scelgono qualcun altro oppure non tornano più da te.
L’unico giudizio che conta lo danno i Clienti scegliendo dove andare a spendere i loro soldi, dove rispenderli nuovamente e dove mandare ad acquistare la loro rete di relazioni. Oggi, con tutte le fonti di informazioni che hanno a disposizione, i Clienti hanno molte più possibilità di scelta e non si accontentano più perché in zona non c’è altro. Oggi più che mai la concorrenza c’è ed è agguerrita.
Ecco perché la morte delle imprese che non si evolveranno è solo una questione di tempo, liberando e regalando così quote di mercato (piccole o grandi) a chi invece ha sviluppato una cultura pro-Cliente, incentrata sul rispetto, attenzione, ascolto del Cliente e a volte (i più bravi) riuscendo addirittura a sorprenderlo piacevolmente. Perchè faresti bene a ricordare che “il Valore non ha concorrenza”!
Empatia e capacità di ascolto sono senza dubbio due elementi che ogni imprenditore farebbe bene a sviluppare per sperare di sopravvivere.
Sam Walton, fondatore di Wal-Mart, la più grande rete al dettaglio del mondo, anni fa aprì un programma di formazione per i suoi dipendenti con le seguenti parole:
Io sono l’uomo che va in un ristorante, si siede al tavolo e aspetta pazientemente, mentre il cameriere fa tutto, meno annotare la mia richiesta. Sono l’uomo che va in un negozio e aspetta zitto, mentre i venditori concludono le loro conversazioni private. Sono l’uomo che spiega la sua disperata urgenza per un pezzo, ma non si lamenta che la riceve solo dopo tre settimane di attesa.
Chi pensa che sono una persona silenziosa, paziente, del tipo che non crea mai problemi… si sbaglia.
Sai chi sono? Sono il Cliente che non torna mai più!
Mi diverto guardando milioni spesi ogni anno in annunci di ogni ordine, per portarmi di nuovo alla tua azienda. Quando sono andato lì per la prima volta, tutto quello che avrebbero dovuto fare era solo una piccola gentilezza, semplice e economica: trattare con un po’ più di cortesia.
C’è un solo capo: il Cliente.
E può licenziare tutte le persone dell’azienda, dal presidente all’operaio, semplicemente portando i suoi soldi altrove.”
Adesso ho un paio di domande per te.
Chi è per te il Cliente?
Se vedi il Cliente come tendenzialmente un rompipalle, qualcuno da spolpare una volta e via tanto non torna più, oppure colui che pretende tutto a niente, sappi che hai un bel problema peggio di quello di Houston.
Se rispondere a un tuo Cliente che chiede supporto o informazioni è un’attività che a te o a un tuo collaboratore fa sbuffare, hai qualcosa da rivedere nella scala delle tue priorità.
Questo non significa che non ci siano Clienti rompipalle (questa tipologia di persone è ovunque e anch’io ne ho trovati alcuni veramente insopportabili), così come i Clienti non hanno sempre ragione, a differenza del luogo comune, ma se sconti la rilevanza e l’importanza che ricoprono i Clienti per la tua impresa sei veramente a rischio.
Che cartello hai appeso in azienda?
Ricorda: le parole sono l’espressione dei pensieri, tutto quello che scrivi o dici parte dai tuoi pensieri.
Ecco perchè devi stare attento a quali cartelli esponi nella tua azienda o attività. Soprattutto nelle attività commerciali si trovano spesso cartelli veramente sconfortanti, anche se al primo impatto possono risultare pure simpatici, ma non si fa fatica a “interpretare” il pensiero sottostante che si ha del Cliente.
In questi casi c’è poco da aggiungere, se non ricordare le parole di Sam Walton.
Inizia a sviluppare una nuova cultura aziendale e scrivi chi è il Cliente per te e per i tuoi collaboratori.
Ho detto scrivi! Non pensa, immagina…Si fai pure questo, ma poi scrivi chi è per te il tuo Cliente, che valore ha, che tipo di attenzione merita e come puoi perseguire l’obiettivo di garantire nel tempo la sua piena soddisfazione.
Che tipo di esperienza vorresti che il Cliente provasse quando entra in contatto con la tua azienda?
Cosa vorresti che il Cliente pensasse di te, dei tuoi collaboratori, dei tuoi prodotti e servizi?
Insomma…
Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te.
Fare agli altri quello che vorremo fosse fatto a noi richiede determinazione, responsabilità e coraggio. Questa è la promessa che il buon imprenditore si impegna a mantenere nel tempo con i propri Clienti.
Ah, questo era il quinto punto del Decalogo della Qualità…
Buona consapevolezza!
2 Responses
[…] Non basta. E’ inoltre necessario conoscere molto bene il Cliente e credere nel più profondo del cuore che sia il tuo vero e unico datore di lavoro e, visto che tieni al tuo lavoro, allora tieni al tuo Cliente. Su questo argomento ho già scritto un articolo a riguardo quindi non vado oltre (se vuoi leggi l’articolo). […]
[…] Leggi anche “Il Cliente è il vero datore di lavoro e chi lo capisce può avere ancora un futuro“ […]